Un diamante dalle ceneri di cremazione di mamma Isabella
«Un giorno mia madre mi ha detto: “Quando morirò, voglio essere trasformata in un diamante”. E io le ho risposto: “Mamma, ma che cosa stai dicendo?” Allora, lei mi ha spiegato che si può realizzare un diamante dalle ceneri di cremazione. Una particolare opzione per la sepoltura, di cui io fino a quel momento non avevo mai sentito parlare. Quando si è ammalata, ha confermato questo desiderio».
Con queste parole, Sara racconta la scelta di sua madre Isabella: diventare un diamante, affidando il trattamento ad Algordanza. «Le persone che mi hanno assistita – sottolinea Sara – sono sempre state molto serie e professionali, e nel contempo sensibili e presenti. In particolare, Elisabetta Corniali mi ha spiegato ogni particolare sul processo cui sarebbero state sottoposte le ceneri della mamma. Mi ha tenuta sempre aggiornata, e ad ogni mia richiesta è sempre stata disponibile».
Isabella voleva diventare un diamante affinché la figlia potesse portarla sempre con sé. «Alla fine del processo è stata Elisabetta a portarmi il diamante. E io me lo immaginavo esattamente così! Mia mamma aveva un animo deciso, determinato, e il diamante ha assunto un colore molto intenso, profondo, che la rappresenta perfettamente. Non avrei potuto immaginarlo azzurrino chiaro, oppure bianco. Lo ho fatto incastonare in un anello, e adesso è come averla sempre vicina. Un’emozione grandissima».
Sara vive in un piccolo paese in Piemonte, dove nessuno prima aveva mai considerato questa opzione per la sepoltura. «Quando ho dovuto fare le pratiche per il trasferimento – spiega Sara – in Comune erano tutti stupefatti. Non ho avvertito un giudizio negativo, ma moltissimo stupore per la scelta di realizzare un diamante dalle ceneri di cremazione. Spero che, con il tempo, si arrivi a una maggior apertura mentale perché in Italia, su certe cose, siamo ancora un po’ indietro. Io credo che ognuno abbia la libertà di fare della sua vita, e del suo corpo, quello che meglio crede. Questa dovrebbe essere la normalità».
Martina Seleni